Nel Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche, alla Sapienza, ieri pomeriggio, lunedì 21 gennaio 2008, alle ore 16 si è deciso ad un certo di invertire l’ordine del giorno dei lavori. Ciò che era all’ultimo punto, alle varie ed eventuali, è stato anticipato per un fatto casuale e su ordinarie questioni di Facoltà. In modo del tutto imprevisto si è quindi sollevato un dibattito sulla recente mancata visita del papa che ha scagliato il nostro Ateneo sulla prima pagine non solo dei giornali e delle televisioni italiane, ma non vi è stato nel mondo intero chi non abbia rivolto la sua attenzione verso di noi. Ed io insisto nel ritenere l’evento di notevole rilevanza e tale da essere ricordato anche in futuro nei libri di storia. Pertanto non è cosa futile il parlarne, anche se le ultime notizie sulla responsabilità della mancata visita fanno sorgere una comica crisi diplomatica fra Stato italiano e Vaticano, l’uno dicendo il papa non era venuto su consiglio del governo italiano e quest’ultimo smentendo nettamente di aver dato un simile consiglio, avendo garantito l’assoluta sicurezza ed incolumità del Pontefici.
Non ho tenuto un resoconto stenografico della Seduta del Consiglio di Facoltà, ma lo ricostruisco ora a mente e secondo le impressioni ricevute. I Colleghi di Facoltà mi perdoneranno eventualmenti omissioni o involontari travisamenti. È già adesso concessa loro ogni possibilità di rettifica e di loro intervento se vorranno onorare questo mio Blog della loro attenzione. Inizio da un breve colloquio con il collega prof. Zanghì che mi chiedeva se avevo ricevuto una sua lettera che lui aveva trasmesso alla Segreteria perché la inoltrasse a tutti i colleghi: gli ho detto di non aver ricevuto una simile lettera e che ero interessato a conoscerne il contenuto. Come poi ha precisato nel dibattito, egli contestava alcune notizie date dal telegiornale secondo cui la Facoltà di Scienze Politiche si sarebbe pronunciata non ricordo bene se a favore o contro la visita del papa.
Io mi sono perso un’intervista televisiva del preside prof. Lanchester dove egli salutava positivamente la visita del papa, ma nella stessa intervista veniva tagliata la parte in cui diceva che considerava del tutto sbagliato da parte del Rettore l’invito a tenere una Lectio magistralis di inaugurazione a chi in fondo veniva come Vescovo di Roma, cioè in una veste potremmo dire “incongrua” in un’università laica. Se non ho mal inteso, il prof. Zanghì deplorava invece il fatto che la Facoltà di Scienze Politiche era fra quelle schierate decisamente contro la visita del papa, quando la Facoltà in quanto espressa dal suo Consiglio non si era espressa in nessun modo: né a favore né contro. È tuttavia vero – come ha confermato uno Studente presente in Consiglio – che gli Studenti di Scienze Politiche insieme a quelli di Fisica hanno organizzato il dissenso studentesco sulla visita del papa. Queste all’incirca i fatti e le posizioni delle diverse componenti.
Or bene il papa è stato segno di divisione anche all’interno della nostra Facoltà, o meglio direi causa di confusione perché erano e sono diverse i punti di vista su cosa la visita del papa potesse significare. La semplificazione a mio avviso più lontana dal vero è che si trattasse di una questione di libertà di parola o di pensiero. In particolare, su questo punto il collega professor Somogy voleva mettere a votazione il quesito una persona che fosse stata invitata (ma da chi?) aveva poi il diritto di parlare. Intanto, si è chiarito che il Senato accademico non era stato minimamente investito della questione e quindi la decisione era unicamente del Rettore: una decisione improvvida, stigmatizzata con termine variamente coloriti dentro e fuori della Sapienza. Pur avendo alzato la mano, non sono riuscito a parlare ai maggiori Colleghi, ma poi non ho insistito perché la mia posizione è stata egregiamente espressa dal collega Ceccanti che ha posto una pregiudiziale sulla proposta del prof. Somogy: a netta maggioranza i Colleghi hanno deliberato che la proposta di voto del prof. Somogy non era ammissibile.
Per il resto, riguardo alla mia personale veduta sull’intera faccenda, io proprio qualche giorno prima avevo sentito l’irrefrenabile impulso di scrivere una mia lettera e al Preside di facoltà ed al Pro Rettore, dove anche chiedeva se da parte loro vi fossero motivi ostativi a che io rendessi pubblico il tenore della mia Lettera scritta di getto senza eccessiva cura alla sua forma. Mi pare adesso opportuno riproporla qui come se fosse stato il mio mancato intervento in Consiglio di Facoltà, dove avevo pur chiesto la parola. La riproduco integralmente per come è stata spedita, ma mi riservo di modificarla e per la sua forma e per la sua sostanza:
Egregio Preside
Prof. Fulco Lanchester,
E p.c. al pro Rettore
Prof. Luigi Frati
Desidero renderLe noto che i fatti in oggetto mi hanno creato e mi creano crescenti problemi di coscienza per un verso e per un altro problemi di carattere deontologico.
Non so come lei valuti i fatti recenti e non le scrivo per conoscere la sua pur interessante opinione al riguardo: non per questo le scrivo.
Credo che per ognuno di noi sia increscioso dover parlare di se stessi e magari ricostruire la propria autobiografia. Una forma di vanità che è saggio evitare.
Tuttavia, è quanto mai opportuno che Le significhi che io dagli anni 1970 al 1975 sono stato Studente della Facoltà dove oggi mi trovo nella condizione professionale che lei ben conosce.
Ma sono stato uno Studente così accanito che non credo la nostra Facoltà nella sua storia abbia avuto eguale: non ho mai saltato una Lezione in tutti i quattro anni legali di quei corsi al cui esame ero tenuto e nel tempo che residuava fra una lezione e l’altra frequentavo corsi di mio interesse, senza essere iscritto al relativo esame. Di questi corsi ricordo come importanti e significativi la Lettura di Kant ed Hegel a cura di Gennaro Sasso presso la vicina facoltà di Filosofia.
Era allora per me – in quanto Studente non occasionale, ma profondamente organico all’Università che mi ero scelta – assolutamente qualificante ed essenziale il carattere LAICO della Sapienza.
Questa “laicità”, almeno per come da me intesa in quei cinque anni in cui scelsi di essere Studente della Sapienza, è stata ora profondamente compromessa nella sua immagine dall’improvvida decisione poi malamente abortita, del Rettore Guarini di affidare la Lectio magistralis ad un pontefice, che tutto può essere meno che un laico e un liberale.
Come docente ricercatore di questa Università, privo di potere e mai amante del potere, mi attribuisco minor titolo e dignità dello Studente che fui.
Non so quali iniziative verrò assumendo a difesa di una laicità della Sapienza che sento gravemente minacciata, ma la prego di tener conto di questo mio stato d’animo e di trasmetterlo al Rettore, al quale dissi espressamente in occasione della sua elezione che – non avendolo io votato – mi auguravo che le opinioni sulle quali mi ero basato per non votarlo potessero nel prosieguo del suo mandato rivelarsi erronee ed i miei timori infondati. Egli ha purtroppo superato le mie più pessimistiche previsioni e per quello che riguardava il mio status di ricercatore (per il quale non ho più nessun interesse) ed ora a quel che vedo anche per quella condizione di laicità, da me ritenuta acquisita e per la quale nell’anno della mia immatricolazione avevo instaurato un rapporto esistenziale con questa Università che dura a tutt’oggi.
Se crede, può trasmettere questa mia direttamente al Rettore pro tempore Guarini.
Antonio Caracciolo,
già Studente della Sapienza negli anni 1970-75
- Post Scriptum: la prego di comunicarmi per tempo l’esistenza di motivi ostativi alla diffusione internet della presente ovvero comunicazione ai giornali.
Mentre i Colleghi si accaloravano su questioni di libertà di pensiero e di parola, la mia mente andava a fatti di neppure un anno fa. Si sa che la memoria e corta e come autorevolmente potrebbe insegnare Sua Santità qualcuno tanto tempo fa ammoniva a levare la trave dal proprio occhio piuttosto che la pagliuzza dall’occhio altrui.
Anche altri Colleghi hanno fatto intendere di considerare visita del papa una questione di libertà di parola, non una questione di laicità dell’Ateneo, come io invece fermamente ritengo. Del resto, ormai non si sa più quale significato dare alla parola laico. Sembrerebbe che ad esser laico sia proprio il papa, mentre tutti gli altri che non indossano abiti talari non sarebbero affatto. È anche questo un segno dei tempi: ciò che una volta era ovvio oggi non lo è più, o almeno per taluni. Per me la nozione continua ad essere chiara e probabilmente anche per i 67 firmatari della lettera al Rettore e gli studenti che non mandano lettere ma protestano inscenando manifestazioni.
Nel maggio dello scorso anno vi fu un evento mediatico di segno opposto. Si trattava non di far parlare qualcuno, ma di NON farlo parlare. Addirittura per non farlo parlare il Rettore dell’università di Teramo ed il Preside della Facoltà teramana di Scienze Politiche chiusero i portoni dell’Università. Mi sembra che il ministro Mussi si sia complimentato con il Rettore teramano per aver chiuso la Facoltà al lodevole scopo di non far parlare non importa chi, ma fosse stato uno scimpanzé in grado di parlare a maggior ragione lo si doveva far parlare, se veramente e non solo quando fa comodo si intende rispettare l’art. 21 della costituzione. Si trattava di Robert Faurisson e le vicende minute di quell’evento possono esser lette in altri due miei blogs:
Club Tiberino e
Civium Libertas.
Qui di inedito rivelo che allora, ma solo per dare contenuto all’art. 21 della costituzione, proposi al preside della mia Facoltà, prof. Lanchester, di accogliere la persona cui era stata platealmente ed inequivocabilmente negata la libertà di parola, Robert Faurisson, di poter parlare nell’ambito del mio Seminario, peraltro formalmente chiuso. Non avevo nessuna intenzione di fare del sensaziolismo e per questo sottoposi la mia decisione alla delibazione di Preside di Facoltà, di Direttore del Dipartimento ed anche della Collega del mio stesso ambito disciplinare. Il Preside mi disse allora che aveva ricevuta analoga richiesta da altro autorevole Collega, ma che lui aveva sentito sulla questione il parere degli Storici della Facoltà, i quali erano contrari ad un simile invito e coinvolgimento della Facoltà. Salomonicamente mi fu detto che non era sacrificata la mia autonomia e libertà didattica, ma che si trattava di una questione di oppoortunità, alla quale peraltro io stesso convenivo: se gli “ebrei romani” avevano rotto una costola al vicequestore teramano, scambiato per un pro libertà di parola a Faurisson, mi potevo certamente immaginare contestazioni che non amavo certo provocare.
Ed allora, miei cari colleghi Storici di facoltà, se tanto vi preoccupate della libertà di parola del papa che parla e come, pure troppo a mio avviso, come mai che non avete un’eguale sensibilità quando si tratta di far parlare non su articoli di fede (Immacolata Concezione, Assunzione in Cielo, Infallibilità, ecc), ma su questioni storiche, sia pure controverse, persone il cui unico reato è quello di aver scritto libri, che potranno apparire a voi assurdi ed infondati, ma spero non tali da meritare il carcere? Nella sola Germania, se
le mie fonti sono attendibili, ogni anno 17.000 persone vengono incriminate per reati di opinione e le carceri d’Europa sono piene dei cosiddetti “negazionisti”.
C’è del marcio nel regno di Danimarca, se le cose vanno in questo modo.