Il capitolo 55 di Karlheinz Deschner, Storia critica della chiesa, cit., è dedicato all’istituto della schiavitù,
che come è noto costituiva il fondamento economico di tutto il mondo antico fino ad epoche a noi abbastanza vicine. E del resto non è poi cosa tanto diversa la condizione del salariato da quella dello schiavo. Ma non è su questa problematica che voglio qui concentrarmi. Mi interessa invece verificare sulla base dei testi offerti da Deschner, ed altri che verranno autonomamente esplorati, verificare il luogo comune secondo cui il cristianesimo, ed in particolare il cattolicesimo, sarebbe stato un grandioso movimento storico-religioso volto all’emancipazione dell'uomo. Proprio non pare cosi. Nei testi evangelici, dove è fatto parlare Gesù, non si trovano speciali dottrine al riguardo, ma certamente di Gesù non può esserne fatto un teorico della schiavitù e della sua giustificazione sociale. Semmai è possibile il contrario ed agevole il sostenerlo. Diversamente stanno le cose per la sua Chiesa, fondata da Paolo:
Il testo della traduzione della Lettera prima ai Corinzi è da me integrato nella versione della Bibbia Concordata, che offre il seguente gustoso commento ai versetti 20-24:
(segue)

«Mentre Gesù non giustifica la schiavitù in nessun passo, anzi tutto lo spirito della sua dottrina parla piuttosto in senso contrario, Paolo insegna: ciascuno deve restare nella condizione nella quale si trova; e dunque lo schiavo nella schiavitù! Anche se può diventare libero, tanto più volentieri deve restare il quella condizione:Si badi che qui non si tratta di un concetto ultramoderno quale il rifiuto della carriera e dell’ascesa sociale, quali espressioni di una società alienata. Non siamo a queste finezze concettuali difficili da dimostrare e forse anche discutibili, ma si tratta di una vera e propria difesa di uno status quo, da cui per secolo proprio la gerarchia ecclesiastica ha tratto i massimi vantaggi, non certo a beneficio dei poveri.Ognuno rimanga in quella condizione in cui era quando fu chiamato. Sei stato chiamato quando eri schiavo? Non te ne preoccupare, ma pur potendo diventare libero approfitta piuttosto della tua condizione, perché chi è stato chiamato nel Signore da schiavo è un liberto del Signore, come chi è stato chiamato da libero è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a gran prezzo, non diventate schiavi degli uomini. Fratelli, ognuno rimanga davanti a Dio nella condizione il cui era quando fu chiamato (1 Cor. 7, 20 ss.).Paolo non pensa, dunque, di dichiarare la schiavitù un’ingiustizia, quantunque, come mostra il suo linguaggio immaginifico, conosca esattamente il triste destino degli schiavi, il cui numero era assai notevole nelle sue comunità (Leipoldt, Der soziale Gedanke, 122).
Il testo della traduzione della Lettera prima ai Corinzi è da me integrato nella versione della Bibbia Concordata, che offre il seguente gustoso commento ai versetti 20-24:
L’apostolo suggerisce ad ognuno di perseverare nello stato in cui si trovava quando è stato chiamato alla fede. Se era schiavo rimanga tranquillamente al suo posto (vv 20. 24); anzi, se uno potesse diventare libero, rimanga nella condizione di prima; infatti nella umiltà e povertà si assomiglia molto di più a Cristo Gesù, che per noi ha voluto esser povero pur essendo ricco (2 Cor 8,9) ed ha assunto proprio la forma di schiavo pur essendo nella “forma di di Dio” (Fl 2, 6s). Il v 21 in greco è piuttosto ambiguo e potrebbe intendersi, come fanno alcuni, anche nel senso di un invito a valersi della possibilità di diventar libero. Però tutti i commentatori greci antichi e la maggior parte dei moderni lo intende nel senso da noi proposto ed è tutto il contesto a reclamare tale significato, che non è per niente strano e rientra nel quadro del pensiero di Paolo».Appunto! Sullo base di questo passo e di questo commento ortodosso vorrei qui richiamare brevemente una mia riflessione, più volte espressa, circa le profonde ragioni delle posizioni ufficiali della Chiesa in materia di natalità. Credo che sia del tutto ozioso andare a cercare un senso ed una logica nei documenti confessionalistici. Se invece si considera la trasmissione dei ruoli sociali la cosa acquista senso e plausibilità. Cosa succederebbe se uno schiavo – non importa se antico o moderno – decidesse non caritatevole trasmettere la sua triste condizione sociale ad un figlio destinato a restar schiavo ed a condividere le sofferenze paterne e materne? La società non avrebbe più i suoi schiavi!
(segue)
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