venerdì 15 gennaio 2010

Teologia politica: 83. Benedetto XVI sotto il tiro della critica ebraico-sionista

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È meritevole di studio il mutamento dei rapporti fra cattolicesimo ed ebraismo dopo il Concilio Vaticano II. È come se vi fosse un assalto da parte dell’ebraismo, che pretende dal cattolicesimo sempre di più. Ci si chiede dove si fermeranno le pretese. Ormai i papi non possono più proclamare i loro santi senza il “nulla osta” della sinagoga. È una situazione allucinante. I papi vengono distinti in “buoni” o “cattivi” a seconda del loro atteggiamento verso un ebraismo che in fondo non si sa bene cosa sia: giudaismo, sionismo o un generico laicismo ebraico? In questa scheda analizzeremo gli attacchi, le critiche, le pretese verso il papa ora in carica: Benedetto XVI, ossia Joseph Ratzinger. Non sappiamo dove la nostra ricerca ci condurrà, ma siamo certi che sia questo un buon punto di osservazione per lo studio di una fenomenologia piuttosto sfuggente.

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Sommario: 1. Ma che vogliono? – 2. E noi, il diritto di criticare gli ebrei, ce lo abbiamo? – 3. Inciucio teologico? – 4. Ne valeva la pena? – 5. Dire “Terra Santa” è antisemitismo? – 6. Una decisione sofferta da chi? – 7. Quo usque tandem, Magister Iudaice, abutere patientia nostra? –

1. Ma che vogliono? – La sinagoga di cui si parla è quella che si trova in Roma, ma il tono dell’articolo di R. A. Segre è di chi lascia intendere che si tratta di una sorta di luogo di culto straniero, la cui centrale dirigenziale è in Israele: come se il papa andasse non in una zona di Roma, ma in un quartiere di Tel Aviv. Quel che per adesso si può capire è abbastanza desolante: un elefante che soccombe ad una pulce ossia un nuovo rapporto di forze in termini di teologia politica. La pace, la fraternità, l’amicizia, ecc., sono cose a cui nessuno crede e che qui non spiegano proprio nulla. Un non celato senso di estraneità ed alterità pone seri interrogativi sui fondamenti e sulle ragioni di una convivenza che non si sia se sia necessaria, imposta, volontaria, non gradita, tollerata. A mio avviso, Benedetto XVI farebbe meglio a starsene in San Pietro. Di “insultante” trovo il tono e le dichiarazioni, la sufficienza, con cui i dirigenti romani della comunità ebraica trattano la figura del pontefice e ciò che ancora rappresenta. Incredibile: essere pro-palestinesi è una colpa! Quasi che ci voglia molta istruzione per capire quali siano i fondamenti di legittimità dello stato di Israele! E di tutto ciò si dovrebbe far carico il papa in visita alla sinagoga romana! Una visita davvero fraterna! Vi è da sperare che Benedetto XVI non persista negli errori politico-teologici dei suoi predecessori: il dialogo è impossibile e nessuna capriola teologica potrà mettere la Shoah al posto della Croce. A quel punto sarebbe da riconsiderare il ripristino – se mai fosse possibile – della religiosità greco-romana, o il culto di Iside e di Mitra. In fondo, una religione non è questione di dogmi, ma un modo di percepire il sacro. A padre Lombardi si potrebbe obiettare che proprio va nel posto sbagliato se crede di trovarvi la pace: è più facile che incrementi la guerra.

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2. E noi, il diritto di criticare gli ebrei, ce lo abbiamo? – La Tizia è intrattabile e cerchiamo di passare avanti ogni volta che ce ne imbattiamo. Tuttavia, sorge spontanea una controdomanda alla pretesa “ebraica” di poter criticare i santi cattolici. in specie Pio XII che Benedetto XVI no ha voluto discriminare per fare solamente piacere alle critiche di parte “ebraica”. Ma siamo sicuri che si possa parlare di «ebrei» o non piuttosto di sionisti? Il libro di Rabkin è fondamentale per capire distinzioni che il gran pubblico non riesce a fare. In realtà, il sionismo ha assorbito buona parte del laicismo ebraico a tutto detrimento del giudaismo, la cui caratteristica è la piena aderenza alla tradizione religiosa. Basta leggere i commenti del link, che iniziano con Fiammetta, per capire che più che di ebraismo o meglio di giudaismo si sta parlando di quella orribile costruzione che è lo stato di Israele. A questo punto, se Benedetto XVI capisse bene che di ciò si tratta – ammesso che non lo capisca – farebbe bene a ripristinare la tradizione di Paolo VI e lasciarsi alle spalle quella di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II. Incredibile! Mentre si lamenta un pregiudizio antisemita, se ancora il termine significa qualcosa, non ci si fa scrupolo alcuno nell’abbonarsi a pregiudizi antigermanici, essendo il papa di origini tedesche. In questi personaggi l’assenza del benchè spirito critico si confonde con l‘arroganza e la prepotenza allo stato puro: ogni cosa sembra loro concessa. Ma chi concede ciò? Oltre un miliardo di cattolici – ammesso che questo sia il numero – possono tollerare una prassi costante e sistematica di insulti? In nome di cosa? E per quale ragione? Il vero giudaismo, quello di cui parla Rabkin, fa sapere che riconoscere lo stato ebraico significa andare contro la Torah. E dunque si tratterebbe per la chiesa cattolica di un cedimento alla politica che non ha nulla a che fare con il dialogo interreligioso.

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3. Inciucio teologico? – Verrebbe da pensare che se il compromesso in politica o nel commercio può essere una virtù ovvero una soluzione, le cose stanno ben diversamente in teologia, dove si crede o si fa credere che la Verità non sia cosa che si possa aggiustare per opportunità e convenienze del momento. Se su questioni di bioetica il magistero cattolico può fare a pugni con il buon senso al lume di una ragione naturale che con coincide affatto con la fede cattolica, stupisce che la Chiesa accetti invece compromessi su una materia, quella teologica, che invece le sarebbe interamente propria e sulla quale nessuno potrebbe mai contestare le sue decisioni. La pretesa tutta sionista – il giudaismo non c’entra! – di escludere i lefebvriani dalla comunione cattolica suona come un’ingeranza assai umiliante per il cattolicesimo ed il suo miliardo putativo di fedeli. Ma qui il Papato sembra cedere, proprio dove non dovrebbe. Quale dialogo è mai possibile fra due religioni, dove la seconda nasce come necessario superamente della prima? Certo, la carità, il rispetto, quei principi che oggi si impongono a tutti, a prescidendere da qualsiasi cornice religiosa. Su questo terreno non solo non si può e non si deve tornare indietro, ma bisogna andare ancora avanti, giacché l’ipocrisia è ancora più grande dei progressi compiuti sul piano del diritto e delle convenzioni internazionali. Ma la teologia, ed in particolare la teologia politica, non può essere materia di “inciucio”, se non si vuol far perdere la devozione a chi ancora ne conserva un poco. Sardegna e Sicilia sono due isole separata dal mare. Potrebbe unirsi solo a prezzo di un grande cataclismi di una violenza tale da cancellare probabilmente ogni forma di vita sulla terra. E dunque vadano ciascuno per la loro strada, il giudaismo e il cattolicesimo, senza confondere le loro acque, accontendandosi di quella pace che è garantita non dagli opposti credi religiosi, ma da quello Stato moderno che usci con la pace di Westfalia proprio una periodo cruento di guerre religiose, dove si uccideva e massacrava in nome di dio.

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4. Ne valeva la pena? – A leggere l’abbondante rassegna stampa dedicata alla visita alla Sinagoga sembra che Benedetto XVI abbia raccolto solo insulti da parte di una comunità che ammonterebbe ad appena un massimo dichiarato di 15.000 cittadini a fronte di ben più numerose comunità romane di origini regionali e perfino straniere. Regna un vero e proprio regime mediatico di conformismo e di terrore che non consente la spontanea e libera espressione del pensiero critico: e ci asteniamo per una volta dal dire quel che nel profondo pensiamo. È però da chiedersi se all’insegna dell’ecumenismo e del cosiddetto dialogo interreligioso seguiranno analoghe visite alla Moschea ed ad ognuno dei luoghi di culto, esistenti in Roma e diversi dal culto cattolico. Solo così la visita del papa cattolico acquisterebbe un senso logico e democratico, in armonia con una società pluralistica, dove convivono fedi e credenze diverse, tutte però unite in una volontà di convivenza pacifica e rispetto reciproco.

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5. Dire “Terra Santa” è antisemitismo? – Basta questa uscita, che taccia di “antisemita” il papa per il solo fatto di dire “Terra Santa”, per capire a quali assurdità sia giunto il cosiddetto dialogo interreligioso. A dirlo poi è un noto omosessuale, con ciò che questa qualità significa ancora per l’ortodossia cattolica. L’arroganza di questa gente ha assunto livelli incredibili che sfuggono alla comune comprensione. È normale pensare che vi siano dietro segrete cose che ai più sfuggono. Una di queste spiegazioni è l’enorme potere politico di cui dispone l’entità USA-Israele e si sa che la Chiesa è sempre stata sensibile e sottomessa davanti ai potenti della terra. La sua stessa potenza, da Costantino in poi, è sempre stata una potenza derivata. Oggi l’ebraismo sionista è una potenza nucleare oltre che politica ed economica. Se poi ha ragione Rabkin, un simile ebraismo non ha nulla a che fare con il vero e proprio giudaismo. È da chiedersi se simili operazioni politico-religiose possano e debbano interessare i fedeli cattolici, ammesso che ancora ve ne siano. Devo fare una rettifica, o almeno un’integrazione. Non ho visto la registrazione televisiva. ma mi è stato riferito oggi dell’intollerabile interruzione fatta al papa, quando diceva Terra Santa... Davvero inaudito!

6. Una decisione sofferta da chi? – Non avrei mai immaginato di dover parlare e scrivere in difesa del cattolicesimo, io che ho creato un blog espressamente dedicato alla “critica del cattolicesimo”. In questo caso pensavo però al complesso della dogmatica cattolica da un punto di vista ellenistico, non certo da un punto di vista non già giudaico, ma sionista. Di questo si tratta: del sionismo. Lascerei stare il giudaismo che è del tutto assente nel “dialogo interreligioso”. La chiesa sta dialogando con il sionismo. Mi chiede se in Vaticano lo sanno e ne sono consapevoli. Da battezzato e cresimato – lasciamo stare se ci credo o no per come la raccontano – avrei un qualche titolo giuridico a dire la mia, se non sono una “pecora” che deve andare semplicemente dove dice il “pastore”. Credo che il cattolico che abbia avuto da sempre l’immagine del Cristo in croce come mistica dell’umana sofferenza non possa in nessun modo accettare di vedersi sostituire la mistica della croce con la mistica della Shoah, per giunta trasformata in un’industria ed in una giustificazione di un genocidio, quello palestinese che ha due date di inizio: il 1882, anno del primo insediamento coloniale sionista in Palestina; ed il 1948, anno ed inizio della pulizia etnica. Ci si preoccupa di una dubbia «indifferenza» riferita al passato, estesa al massimo per un paio di anni, e si sorvola ignobilmente su una «indifferenza» che in ultimo ha assunto il nome di «Piombo Fuso». Che in questo pervertimento del senso morale si associ adesso anche la chiesa nella persona del Sommo Pontefice è veramente qualcosa di inaudito. Ciò poteva avvenire solo con un controllo dei mezzi di comunicazione e di condizione ideologico così radicale, assoluto, quale mai né il fascismo nè il nazismo riuscirono mai ad avere. Così la penso, se secondo il diritto canonico devo essere considerato come appartenente tuttora alla Chiesa. È probabile che da certi personaggi si faccia richiesta – come usano abitualmente fare – perché io venga “scomunicato”: non è possibile che simili persone facciano parte della Chiesa cattolica e possano parlare da “cattolici”! E sia!

7. Quo usque tandem, Magister Iudaice, abutere patientia nostra? – Si leva anche la voce di Francesco Lamendola per esprimere un disagio che è di molti. Anche i ciechi possono constatare la sudditanza dei media al potere della Lobby che non esiste. Il buon senso non può essere insultato impunenmente oltre un certo limite. Forse, tuttavia, neppure Lamendola si spinge fino alle estreme conseguenze logiche: la storia, quanto più remota, deve essere lasciata agli storici, che devono essere liberi di intromettersi in tutti gli aspetti controversi, facendo uso critico delle fonti storiche primarie disponibili e non prendendo ordini dagli uffici di propaganda di Israele, dall’Hasbara. In realtà, bisognerebbe incominciare a dire ad alta voce che qui non si tratta più di una commemorazione e rievocazione storica, ma della fondazione di una vera e propria religione, dove viene buttato giù dalla croce Gesù Cristo ed al suo posto collocate le assurdità teologiche imbastite intorno ai concetti di «Olocausto» e di «Shoah». E ciò avviene mentre sotto i nostri occhi in Palestina, nella Terra Santa – ma è pure “antisemitismo” dire “Terra Santa”! –, viene consumato un genocidio al presente di gravità ben maggiore di quello narrato e storicamente insondabile, già quanti osano investigarlo in chiave storica vengono mandati in galera! Altro che processo alle streghe! Altro che rogo degli eretici! Qui siamo tornati indietro di secoli! Il regno dei Kazari è risorto e domina il mondo! Non già di Pio XII qui si tratta, ma dello stesso Gesù Cristo, che ancora oggi è consegnato nelle mani degli ebrei. E a farlo, spiace dirlo, sembra essere proprio Papa Ratzinger, ripetendo ciò che Pietro fece prima che cantasse il gallo. Una nota finale su Carl Schmitt, citato da Lamendola: meglio lasciarlo stare! Le cose non stanno esattamente come la vulgata dice e lascia intendere. Penso di saperne qualcosa, come specialista e discepolo di Carl Schmitt.

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